Mostra di
Antonio Ligabue |
“Nato nel 1899, fin dalla più tenera età Ligabue ha avuto
un'esistenza difficile. Figlio naturale di un'italiana emigrata, ha
sempre ignorato il nome del padre. Nel 1900 viene affidato ad una coppia
di svizzeri tedeschi; non verrà legittimata la sua adozione, ma il
bambino si legherà moltissimo alla matrigna, con un insolito rapporto di
amore e odio. Nel 1913, dopo aver superato solo la terza elementare,
entra in un collegio per ragazzi handicappati, dove si distingue subito
per l'abilità nel disegno e la cattiva condotta. Nel 1917 è curato per
qualche mese in una clinica psichiatrica e qualche anno dopo è espulso
dalla Svizzera su denuncia della madre adottiva e ritorna in Italia dove
vive come vagabondo, continuando però a disegnare e a creare piccole
sculture con l'argilla. Viene poi scoperto (1927-28) ed aiutato da
Mazzacurati, pittore e scultore. Nel 1937 viene internato in un
manicomio in "stato depressivo", da cui esce per l'interessamento dello
scultore Mozzali. Durante la guerra fa da interprete alle truppe
tedesche ma, per aver percosso con una bottiglia un soldato tedesco, nel
'45 viene nuovamente internato. Nel '48 viene dimesso; i critici e i
galleristi cominciano ad occuparsi di lui. Iniziano anni durante i quali
lentamente la fortuna sembra volgere a suo favore. La sua fama si
allarga, la sua attività pittorica subisce un netto miglioramento. Vince
premi, vende quadri, trova amici che lo ospitano, si girano film e
documentari su di lui. Ligabue rimane però lo stesso, anche se viene
identificando nelle automobili, dopo la passione per le motociclette, il
segno di un raggiunto prestigio sociale, con forme maniacali (vorrà un
autista, che si tolga il cappello, aprendogli la portiera della macchina
per salire). Nel 1962 viene colpito da paresi, continua comunque a
dipingere, ma nel 1965 muore. Anche quando cominciò ad essere
accarezzato dalla fama, Antonio Ligabue, il "buon selvaggio" della
pittura italiana, continuava ad essere un personaggio inquietante,
diverso, strano; per quella sua miseria solitaria, consumata
rintanandosi tra gli alberi, le nebbie e le calure della Bassa Padana;
per quell'infanzia irrequieta e malaticcia vissuta in Svizzera con una
madre adottiva; per la sua parlata mezza tedesca, le ossessioni
maniacali, i ripetuti soggiorni in manicomio. Ma a riscattare tanta
sofferta alienazione e un passato da reietto vagabondo approdato nel
luogo di origine del padre - il paese emiliano di Gualtieri - c'era,
sorprendente quanto ogni aspetto del suo essere, una genialità artistica
capace di trasformare gli incubi in incantate visioni colorate, gli
ordinati filari di pioppi in giungle popolate da belve feroci. Tigri con
le fauci spalancate, leoni nell'atto di aggredire una gazzella, leopardi
assaliti da serpenti, cani in ferma e galli in lotta: predatori e prede,
selvatici e domestici, sentiva gli animali come compagni, li comprendeva
e li amava più degli uomini: e ad essi più che agli uomini, voleva
assomigliare. Le opere figurative di Ligabue, dense e squillanti,
traboccano di nostalgia, di una violenza ancestrale, di paura e di
eccitazione, di dettagli ugualmente minuziosi nelle scene di vita
campestre come in quelle di esotiche foreste, attinti, nel primo caso,
dalla profondità di un'incredibile memoria visiva, nel secondo da una
immaginazione ancora più prodigiosa.”
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